di Pasquale Vassallo
L’uomo è strettamente connesso con il mare. Gli oceani hanno visto la nascita delle prime forme di vita, rilasciano il 50% dell’aria che respiriamo e sono una fonte primaria della nostra alimentazione. La vita stessa degli esseri umani sul pianeta è dunque indissolubilmente legata a quella degli ambienti marini, motivo che dovrebbe essere più che sufficiente a giustificare ogni nostro sforzo nella loro protezione. Purtroppo non è così. Nei mari e negli oceani si riversano tutti i nostri rifiuti, la pesca intensiva sfrutta ogni risorsa ancora disponibile senza messuna logica di responsabilità, le plastiche che galleggiano ovunque continueranno ancora a farlo per millenni. Entro il 2050 – è la stima più ottimistica degli esperti – il peso dei rifiuti presenti in mare supererà quello della fauna marina. Insomma, ci avviciniamo a grandi passi al punto di non ritorno.
Siamo ancora in tempo per salvare gli oceani, ma dobbiamo subito invertire la rotta e lavorare tutti insieme se vogliamo garantire un futuro a noi e al nostro patrimonio più prezioso, il Continente Blu. La passione per la fotografia subacquea mi ha sempre accompagnato. Negli ultimi anni, ho iniziato a concentrare il mio interesse fotografico sul comportamento degli organismi marini e sulle loro interazioni con gli oggetti inquinanti abbandonati dall’uomo che finiscono in fondo mare.
Dopo le mareggiate, passeggiando lungo le spiagge, tutti noi troviamo enormi quantità di rifiuti galleggianti, che le onde e le correnti ci restituiscono. La maggior parte di tutto ciò che gettiamo in mare, tuttavia, affonda inesorabilmente e va a depositarsi sui fondali. E’ una forma subdola di inquinamento sommerso, che la maggior parte delle persone non conosce perché non ha modo di vedere. Una storia di degrado che invece ben conoscono le persone che per, per professione o per diletto, si immergono lungo le nostre coste. Trovare in Italia fondali ancora liberi dai segni della nostra presenza, purtroppo, è cosa ormai alquanto rara. Ma anche in questi casi, la Natura ha saputo sorprenderci per la sua incredibile capacità ad adattarsi ad ogni cambiamento, per quanto degradante e negativo. Le creature del mondo sommerso hanno imparato a riconoscere i nostri rifiuti e ad interagire con loro, cercando di sfruttarli come una inattesa risorsa. Borse per la spesa, cotton fioc, posate usa e getta, cannucce, bottiglie, diventano case, rifugi, appostamenti per la caccia o luoghi in cui deporre le uova. E’ un nuovo mondo, fatto di plastica, di vetro, di metallo, quello che a poco a poco invade i nostri fondali. I primi a farne la conoscenza sono, in genere, gli organismi bentonici, quelli che vivono sul fondo, dove i tanti oggetti che non galleggiano e che la corrente non cattura vanno lentamente a depositarsi.
Nel corso delle immersioni ho osservato queste interazione tra ogni tipologia di rifiuti e un altrettanto grande numero di specie marine diverse. Sono specialmente i molluschi a cercare di trarre vantaggio da questa devastazione. In particolare i colorati nudibranchi, sempre alla ricerca di strutture solide su cui depositare le proprie uova. Mi sono ritrovato ad osservare uova di nudibranco deposte su lattine di birre, bottiglie, piastrelle che un tempo ornavano i pavimenti di qualche cucina. In un caso, ho addirittura assistito alla deposizione sul frammento di un vecchio cordone, abbandonato da qualche nave da pesca. A sorpresa, ho scoperto come le cime abbandonate in mare rappresentino una fonte di attrazione per molte, diverse creature. Per un cavalluccio marino che ho fotografato erano diventate addirittura un comodo posto per ancorarsi e mimetizzarsi. In un’altra occasione, in un fondale composto totalmente di sabbia una cima abbandonata – che in estate molto probabilmente serviva per ancorare un pattino – veniva utilizzata da una ignara seppia per poter depositare le proprie uova.
Continua… sul volume 236