Vita e morte, come in una favola Zen…

Il surplace della libellula sulla forbice del becco spalancato del gruccione ci inchioda ad un ir-risolvibile dubbio: con uno strenuo colpo d’a-la l’insetto potrebbe salvarsi dal pericolo di es-sere ingoiato lasciando il predatore incredulo e a becco aperto? Oppure, al contrario, non vi è alcuna possibilità per la libellula di riuscire a sfuggi-re alla caduta nelle fauci per cui la fine della sua e-sistenza è ormai praticamente inevitabile? Non sapremo mai come è andata a finire! Quello che invece sappiamo è che la meravigliosa forza della spinta evolutiva, che si manifesta nella moltepli-cità di stratagemmi adottati dalle specie viventi per sopravvivere e riprodursi, ha modellato le performance comportamentali che accomunano prede e predatori. Questo vincolo fornisce ad entrambi possibili chance per fronteggiarsi negli incontri: così si attivano simulazioni e ostentazioni che caratterizzano le loro dinamiche relazionali che si dispiegano nella fitta trama delle reti ecolo-giche che abbracciano le comunità dei viventi. L’immagine, come in una favola zen, ci distoglie dal momento in cui la vita e la morte si stanno confrontando perché ciò che prevale è il simme-trico cromatismo dei due attori. Ci incanta la li-vrea arcobaleno del gruccione che sembra riflet-tersi nelle sfere cristalline degli ommatidi iridati, mentre i vistosi pigmenti cutanei del corpo della libellula sfumano sotto la vivida lucentezza delle ali innervate. È un fotogramma intenso in cui, al di là del momento sospeso che intrappola i due protagonisti, spicca una pienezza sensoriale in cui può aprirsi una finestra filosofica che ci induce a riflettere sul nostro bisogno di porci interrogativi e di indagare per aumentare la nostra compren-sione sul funzionamento della storia naturale.

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